Fichi Girotti


Testo e foto di Paolo Simoncelli

Ad Amelia, fino agli anni 40’-50’, oltre la piazza c’era già la campagna. Stracolma di alberi di fichi, buonissimi, tanto che gli statuti medievali prescrivevano di portare in dono al papa centum pignaculi ficum. Molti secoli dopo, il capitano Antonio Girotti, carbonaro, patriota, amico di Garibaldi, ne fece incetta. Iniziò a lavorarli e così, era il 1830, nacquero i fichi Girotti. Il massimo fulgore arrivò agli inizi-metà del ‘900. C’era uno slogan molto in voga, “gioia dei bambini, delizia dei golosi”. Si vendevano persino sul transatlantico Rex che faceva la spola tra Genova e New York. Ed erano nei cestini da viaggio delle Ferrovie Regie. Oggi come allora, nel laboratorio di via Farrattini, i fichi vengono lavorati a mano con un lento processo artigianale. Gabriele e la sorella Serena eseguono gesti lenti, antichi, che portano al prodotto finito. Prima al fico essiccato si toglie il beccuccio. Si apre, si modella in uno stampo circolare e poi viene riempito con scorzette di arancia candita, cacao in polvere e gocce di aroma di arancia dolce. Questa è la versione base ma si possono riempire anche con pezzetti di noci o mandorle tostate. Dopo averlo inserito sotto un vecchissimo torchio, lo stampo viene pressato a mano finché i fichi diventano piatti e tondi come dischetti. La fase finale è “l’incioccolatamento”, l’immersione in una polvere di zucchero a velo e cacao. “In un’ora riusciamo a farne 20-25”, dice Gabriele circondato da targhe e insegne pubblicitarie di un secolo fa. C’è anche una vecchia foto con dedica di Baconin Borzacchini, il pilota della Mille Miglia che vinse l’edizione del ’32 a bordo di una Alfa Romeo 8C 2300. Naturalmente gli snack energetici che masticava durante la corsa erano i Fichi Girotti. E infatti la dedica dice così: “Al dolce frutto Girotti ho dato la preferenza anche durante la Mille Miglia”.



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