Se c’è un oggetto che evoca la storia, l’anima, del popolo siciliano, questo è il carretto siciliano. Coi colori brillanti che si portava dietro, faceva un bel contrasto quando andava per le trazzere. Lo usavano per andare al lavoro o per uscire dai confini della misera vita di un tempo. Chi aveva un carretto possedeva qualcosa di importante. Non c’era nulla allora. “Non tutti, a metà ‘900, potevano si permettere il lusso di un’Ape”. Sui legni dei carretti siciliani i decoratori raffiguravano scene di vita popolare, la religione, la storia dell’isola, gesta epiche, scene mitologiche. Ognuno era un pezzo unico, irripetibile. Brillavano al sole le gesta di Orlando e Rinaldo, Garibaldi, Cristoforo Colombo, opere liriche di Verdi e Puccini e, soprattutto, dato che viaggiavano per infidi sentieri, i carretti avevano bene in rilievo l’immagine di San Giorgio. Era una sorta di protezione, di figura apotropaica contro le imboscate dei briganti e ogni sorta di sventura potesse capitare durante il viaggio. L’estinzione ne ha decretato la morte fisica, non certo spirituale. Idealmente, il carretto continua a vagare sulle cicatrici sicule. Per preservarne la memoria, è nato una decina di anni fa, ad Aci Castello, la “Maranello dei carretti siciliani”, il museo a loro dedicato. In un vecchio casale sono esposti una decina di carretti, da quelli di fine ottocento, i colori quasi non si vedono più, al carretto pittato da Domenico Di Mauro. Il museo è anche il laboratorio di Salvatore Nicolosi, l’artista che ha appreso l’arte da Domenico. “È l’unico luogo”, racconta, “in cui i visitatori apprendono in diretta come nasce un carretto siciliano. Io sono sempre qui”.
Aci Sant’Antonio/Museo del carretto siciliano. Quando l’Ape era un lusso
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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