La cripta dei Cappuccini, uno dei luoghi più inquietanti di Roma, dove la morte sorride, si trova a via Veneto, per ironia della sorte dove pulsava la Dolce Vita. Uno immagina Walter Chiari che si scaglia contro i paparazzi e all’improvviso, attraversata la strada, si ritrova di fronte un esercito di scheletri e corpi mummificati. Per vedere l’agghiacciante camposanto di ossa, occorre scendere nei sotterranei della chiesa di Santa Maria della Concezione, il tempio annesso al convento eretto nella prima metà del ‘600 per volere di papa Urbano VIII e poi demolito. È qui che riposa ciò che resta dei 3700 monaci passati a miglior vota tra il 1631 e il 1870. La scritta all’ingresso non è beneaugurante: “Quello che siete noi eravamo, quello che siamo voi sarete”. Non c’è miglior luogo al mondo dunque, dove meditare sul mistero della morte. In realtà la cripta è un corridoio lungo 30 metri (un vero e proprio cimitero la cui terra sarebbe arrivata dalla Terra Santa), con sei macabre cappelle tematiche, “dei tre scheletri”, “delle tibie e dei femori”, “dei bacini” e via dicendo. Qui tutto è fatto d’ossa. Un trionfo di scapole, vertebre, clavicole, tibie, femori, bacini variamente assemblati per creare le più incredibili raffigurazioni sul tema della morte: la clessidra, la falce, la bilancia. Il lampadario invece è fatto di coccigi e falangi. Non sono pochi quelli che sentono un brivido freddo mentre sfilano davanti a intere pareti di crani, ossute mani, volti mummificati, resti di monaci avvolti nel saio, alcuni ancora con barbetta e pellicina. Consola il fatto che persino il Marchese De Sade, visitò la cripta il 27 ottobre 1775, durante il suo viaggio in Italia, restò turbato dalla visione: “Non ho mai visto nulla di più impressionante; per esserlo ancora di più bisognerebbe vedere la cripta di sera, al chiarore delle lampade funebri”. Fatelo, ma per alcuni potrebbe essere fatale.
Cripta dei cappuccini, l’arte dell’aldilà
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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