Donne dai grandi occhi neri nelle loro elegantissime vesti, con veletta a pois, col ventaglio bianco o vestaglia a fiori, in pose riflessive, impegnate a leggere un libro, a ballare con un musico, a suonare il mandolino, insieme a gatti, a giocatori di carte. Ci sono anche pagliacci e bambole inquietanti, una con mezza testa. Nei quadri di Nora de’ Nobili al museo di Ripe di Trecastelli, non trapela una sfumatura di serenità, un sorriso, una smorfia ammiccante. Solo malinconia, una specie di indifferenza che trascende nel sentimento più ovvio, controllato però dalla grazia dei pennelli, la disperazione. In una parola nei quadri della pittrice marchigiana è imprigionato ciò che ha materialmente vissuto: la fatica di vivere. Cosa sono quelle figure femminili ritratte in mille pose se non autoritratti delle donne libere ed emancipate che avrebbe voluto essere? Classe 1902, l’artista pesarese era nata da famiglia aristocratica, molto rispettata. Lei invece no. Nessun rispetto. Il talento per i pennelli mostrato sin da giovane, era considerato dal padre una forma di ribellione, di fuga dalla sua disciplina. Voleva persino imporle amori combinati. È stata la morte dell’amato fratello Alberto, nel ’33, al museo c’è un suo ritratto, l’ultimo chiodo sulla bara della razionalità. Da li in poi la mente di Nora ha preso a navigare senza timone. Foschi pensieri le agitavano la mente, tanto che, due anni dopo, il suo povero corpo entrò a Villa Rosa di Bologna, un manicomio travestito da clinica privata. Era solo l’inizio. Ne ha girati molti di manicomi Nora. Trentatré anni di calvario, spesi a cercare invano una via di fuga. E allora evadeva coi pennelli. Dipingeva su ogni superficie: tele, muri, scatole di medicine, lastre dei raggi X. E a volte componeva. “…occhi incavati in espression febbrile”, scrisse nella poesia “La Prigioniera”, torbido sguardo contro il mondo vile, tragica donna che non fu mai doma. Pallida Paloma.”Il museo raccoglie una settantina di quadri, bellissimi, struggenti ed è diviso in sezioni cronologiche, dalle opere giovanili, alla maturità, per culminare in Prigione n. 2 e Prigione n. 3, due olii su cartone. In uno si vede una figura femminile abbandonata su una panca, come una marionetta. È senza occhi, tanto cosa vuoi vedere oramai? I colori invece ci sono. Ma nemmeno quelli danno speranza.
Museo Nora de’ Nobili, “tragica donna che non fu mai doma”
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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