Monopoli, il tesoro nel degrado


Testo e foto di Paolo Simoncelli

Dopo la distruzione di Monopoli nel 1042 gli abitanti si dispersero sulle lame, i solchi vallivi formatisi per l’erosione dei fiumi. Erano fatte di tenero tufo, dunque i nativi adattarono anfratti e cavità alle esigenze del “vivere in grotta”. Nacquero anche santuari rupestri e chiese-grotte: alcuni divennero stazioni di sosta lungo la Traiana, la via di comunicazione dell’epoca. In particolare la millenaria chiesa-ipogeo dei SS. Andrea e Procopio scavata in epoca greco-normanna, vegliata da ulivi plurisecolari, è rintanata in masseria Rosati, nella quiete di un mondo agro-pastorale. Mostra doppia navata con due absidi, iconostasi litica e doppio transetto che divide il naòs, area riservata ai fedeli, dal bema, la zona del clero. Ne è passato di tempo ma l’atmosfera è quella di allora. Sembra di vederli i pellegrini mentre entrano dalle porte scavate nella roccia, quella centrale, quadrata, e le due rettangolari ai lati, per assistere alla paraklisis, la liturgia in onore dei santi. Dovevano restare attoniti di fronte alle ieratiche figure duecentesche che tappezzavano l’intera superficie della grotta. Sembravano vivi tutti quei santi, latini e bizantini, raffigurati in un unico ciclo agiografico, oggi in parte deteriorato, nella speranza di riunire la cristianità occidentale e orientale: S. Giorgio, Cosma e Damiano, Eligio, il santo normanno patrono dei maniscalchi, il santo apostolo Andrea, il santo guerriero Leonardo, l’Annunciazione. In sorprendente stato di conservazione appare invece l’epigrafe tra la croce greca della lunetta e la finestrella a semiluna sopra la porta centrale. Dopo dieci secoli si legge ancora la storia del tempio: i nomi dei ricchi committenti, Alfano, Giovanni, Paolo e Pietro, il maestro-costruttore Giovanni, il figlio Giacinto, i religiosi addetti alla manutenzione del tempio. Un simile tesoro andrebbe tutelato. E invece no. Solo Nicola Pascale, il proprietario che accoglie volentieri i visitatori, si sta prodigando. Ha migliorato la scala d’accesso, scavato una canalone per evitare le inondazioni. Tutto a sue spese. Trulli e muretti a secco hanno meritato restauri e interesse delle istituzioni. La chiesa rupestre no. Il prezioso patrimonio iconografico dell’antichità è a rischio estinzione. “Mancano i fondi per il recupero”, dicono. In realtà manca ben altro.



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