I Cacciagalli, la masseria del vulcano


Testo e foto di Paolo Simoncelli

Negli anni ’60 alla masseria I Cacciagalli, non lontano dal vulcano di Roccamonfina, nonno Florestano espiantò i vitigni autoctoni per mettere a dimora vigneti di tipo internazionale. Scelta di convenienza perché il core business era la vendita dell’uva. Quando la nipote Diana, agronoma, riprese l’azienda di famiglia, tornò alle origini. Espiantò i vitigni del nonno per premiare il terroir.“Volevamo ricominciare dalle vigne perché identificano la nostra terra. I vini delle uve autoctone, i bianchi Fiano e Falanghina, i rossi Aglianico, Piedirosso e Pallagrello Nero, vengono affinati nell’anforaia stipata di otri d’argilla di Impruneta, una cinquantina. “Permettono lo scambio d’ossigeno”, dice Florestano, fratello di Diana,“e non rilasciano il tannino sprigionato dal legno delle botti”. Andranno a innaffiare i piatti dello chef Domenico Falzarano, per esempio spaghetti al burro di bufala, aglio nero e alici di Cetara. Nella tenuta consacrata all’agricoltura biodinamica, niente prodotti di sintesi, solo sostanze naturali. Gli ospiti esplorano la natura in sella alle bici aziendali. Si perdono nel noccioleto. Respirano gli umori dell’antica Campania Felix. Vanno per vigne, ulivi, castagni, colture orticole, campi di legumi dove cresce il cece di Teano, antica coltura recuperata dalla masseria. La piscina non è come tutte le altre. È un bio lago dove le piante e non il cloro, depurano l’acqua. Si nuota tra libellule e concerti di rane. Sibilanti, gracchianti indicatori di purezza ambientale.



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