Questa storia sembra arrivare dal Medioevo e invece succedeva fino agli anni ’40 e ’50. È la storia dei rüsca, i bambini spazzacamino che le povere famiglie dell’arco alpino, Val Vigezzo in particolare, affittavano a “uomini neri” senza scrupoli per fare la stagione nella “bassa”. Gli uomini neri erano spazzacamini che per età e massiccia corporatura avevano abbandonato il lavoro. Dura pulire canne fumarie lunghe e strette se non si ha una corporatura esile, così andavano in cerca di manodopera, bambini tra i 6 e i 12 anni in grado di entrare nei camini. Per le famiglie “sacrificarne” qualcuno costava dolore ma era una bocca in meno da sfamare. Adesso che non ci sono più, le testimonianze dei rüsca, i piccoli schiavi, si possono leggere nei libri di Benito Mazzi. Ha effettuato 30 anni di appassiate ricerche andando di casa in casa per strappare ai sopravvissuti i lontani, terrificanti ricordi. Ne è uscito un ritratto assai diverso dallo spazzacamino che canta allegramente sui tetti come nel film Mary Poppins. Ogni anno, dal 1981, un migliaio di spazzacamini si riversa a Santa Maria Maggiore per celebrare la festa degli uomini neri. Arrivano con la divisa d’ordinanza, dall’Europa, dal Giappone, Stati Uniti, Canada, una volta persino dalla Cina. Volto sporco di fuliggine, sfilano suddivisi per nazionalità, in bicicletta, con gli zoccoli, giacche dalle maniche strette ai polsi, pantaloni rinforzati alle ginocchia, scale in spalla e altri attrezzi del mestiere: scopino, raspa alla cintola, il riccio, cioè le lamelle flessibili a raggiera, lo scamùn per pulire le canne fumarie strette. Salgono sui tetti, neri come la notte e poi fanno dimostrazioni di pulitura, soprattutto sul settecentesco palazzo comunale di Santa Maria Maggiore dai lunghi comignoli da fattucchiera. Al Museo dello Spazzacamino invece, unico in Italia, sono esposti cimeli del lavoro di un tempo, foto e storie che raccontano soprattutto l’epopea dello sfruttamento infantile. Spazzacaminoooo, spazzacaminooo, gridavano nei mesi del gelo i piccoli rüsca infreddoliti che andavano per i paesi. Le donne aprivano a quegli ometti alti come un soldo di cacio, sporchi, vestiti di stracci, e sospiravano: “Siete qua anime benedette; allora è segno che è arrivato l’inverno”.
Santa Maria Maggiore, la favola nera
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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