Ex Manicomio S. Maria della Pietà, l’arte nella “città dei matti”


Testo e foto di Paolo Simoncelli

Intorno all’ex manicomio di Santa Maria della Pietà, il più grande ospedale psichiatrico d’Europa, la struttura dove passarono alienanti giornate Ada Merini, Mario Schifano e altre migliaia di esseri umani, pulsa l’immensa area verde affollata di lecci e pini. Chiusi nel ’99, molti vecchi padiglioni sono stati ristrutturati, altri in via di restauro, altri ancora abbandonati al decadente abbandono. È qui, tra silenzio e inquietudine, sentierini e panchine, che è nata una sorta di museo dei murales en plein air. Sparse a macchia di leopardo nella “città dei matti”, sono decine le opere, di sensibili artisti: Carlos Atoche, Roberto Farinacci, Jerico, Monica Pirone, Tina Loiodice. Appaiono sui padiglioni o stanno nascosti dietro a casette e casupole, su mura scrostate o appena intonacate. Un murales più degli altri, Le cose che non si vedono del messicano Luis Gomez De Teran, sulla facciata del padiglione 6, è un pugno allo stomaco: figure biancastre, slavate, su fondo nero, dal realismo sconvolgente. Da una parte del muro i volti stralunati, grotteschi, dei malati psichiatrici, mani aggrovigliate come rami, evocano le terrificanti cure somministrate da medici senza scrupoli: lobotomia, elettroshock, camice di forza. Dall’altra appaiono espressioni sognanti, delicate, dita come petali: la rinascita. Non erano essere umani i “rifiuti della società” di Santa Maria della Pietà ma cavie da celare al mondo, rinchiuse dietro alle sbarre, legate ai letti senza possibilità di movimento, sedate per ridurle a vegetali. Sembra di sentirle le grida, i lamenti. E il silenzio plumbeo che seguiva alle agghiaccianti terapie, lo stesso che aleggia ancora, intorno al padiglione 6. Oggi ospita il Museo Laboratorio della Mente.



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