Intorno all’ex manicomio di Santa Maria della Pietà, il più grande ospedale psichiatrico d’Europa, la struttura dove passarono alienanti giornate Ada Merini, Mario Schifano e altre migliaia di esseri umani, pulsa l’immensa area verde affollata di lecci e pini. Chiusi nel ’99, molti vecchi padiglioni sono stati ristrutturati, altri in via di restauro, altri ancora abbandonati al decadente abbandono. È qui, tra silenzio e inquietudine, sentierini e panchine, che è nata una sorta di museo dei murales en plein air. Sparse a macchia di leopardo nella “città dei matti”, sono decine le opere, di sensibili artisti: Carlos Atoche, Roberto Farinacci, Jerico, Monica Pirone, Tina Loiodice. Appaiono sui padiglioni o stanno nascosti dietro a casette e casupole, su mura scrostate o appena intonacate. Un murales più degli altri, Le cose che non si vedono del messicano Luis Gomez De Teran, sulla facciata del padiglione 6, è un pugno allo stomaco: figure biancastre, slavate, su fondo nero, dal realismo sconvolgente. Da una parte del muro i volti stralunati, grotteschi, dei malati psichiatrici, mani aggrovigliate come rami, evocano le terrificanti cure somministrate da medici senza scrupoli: lobotomia, elettroshock, camice di forza. Dall’altra appaiono espressioni sognanti, delicate, dita come petali: la rinascita. Non erano essere umani i “rifiuti della società” di Santa Maria della Pietà ma cavie da celare al mondo, rinchiuse dietro alle sbarre, legate ai letti senza possibilità di movimento, sedate per ridurle a vegetali. Sembra di sentirle le grida, i lamenti. E il silenzio plumbeo che seguiva alle agghiaccianti terapie, lo stesso che aleggia ancora, intorno al padiglione 6. Oggi ospita il Museo Laboratorio della Mente.
Ex Manicomio S. Maria della Pietà, l’arte nella “città dei matti”
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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