Nel chiostro di San Domenico il piccolo Ruggero Leoncavallo, trasferitosi a Montalto con la famiglia, assistette nel 1865 all’omicidio di Gaetano Scavello, il domestico che l’accompagnava, tragica vicenda che l’ispirò per l’opera I Pagliacci. Rappresentata la prima volta a Milano nel 1892, fu diretta da Arturo Toscanini. Il delitto ebbe luogo alla festa di Ferragosto, durante l’esibizione di una compagnia di Pagliacci, da cui il nome dell’opera. Oltre al tragico fatto di sangue, un altro episodio, più lieto, accompagnò la crescita del maestro, il ricordo del suo primo insegnante di musica, il canonico Bonelli. Fu lui che gli insegnò a suonare la spinetta: il vecchio strumento di fine ‘700-‘800, bisognoso di restauro, se ne sta presso i Padri Ardorini in piazza Enrico Bianco. Il museo dedicato al celebre compositore-librettista invece, è ospitato proprio all’interno del chiostro. Non ci sono orari. Niente numeri di telefono. Triste destino per l’unico museo italiano dedicato a Leoncavallo, nato per ispirazione dell’illuminato Franco Pascale, colui che ha riesumato dall’oblio l’illustre compositore. Dovrebbe essere valorizzato e invece la memoria langue nel dimenticatoio. Basti pensare che si sta valutando l’idea della rappresentazione della Boheme. Di Leoncavallo? No, di Puccini! Il museo è un viaggio intimo e familiare nella vita e nelle opere del maestro. Tra i cimeli la bacchetta da direttore d’orchestra, manoscritti, dipinti, lettere, costumi di scena, spartiti, storiche locandine, il piano originale Hoffmann donato dalla famiglia Ciseri di Firenze. Le gigantografie raffiguranti le opere del compositore che fino a poco tempo fa stavano sulle pareti del chiostro invece, sono state eliminate. Peccato perché in passato il rapporto tra Leoncavallo e la città è sempre stato molto profondo: nel 1903 gli fu conferita la cittadinanza onoraria e lui due anni dopo, a seguito del tragico terremoto, contraccambiò con una sostanziosa donazione. Nel chiostro c’è anche un’altra porticina. Se è aperta, apparirà la vecchia bottega di liuteria. Riporta al tempo in cui gli ebanisti davano linfa all’economia della città.
Museo Leoncavallo
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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