Gelseto di San Floro, ritorno alle radici


Testo e foto di Paolo Simoncelli

In una casetta che pare il rifugio di un eremita, è nata una piccola via della seta calabrese. Accanto alla pineta di San Floro, c’era un dismesso gelseto con tremila piante e così, nel 2014, Domenico, Miriam e Giovanna tornarono alle radici per ridar vita alla terra. Avviare un progetto di sviluppo sostenibile, di turismo esperienziale per far conoscere ai viaggiatori il mondo della seta. I tre giovani operano un’agricoltura multifunzionale, dalla terra al progetto finito. Da minuscole uova nascono bacolini di tre millimetri. Passando attraverso le cinque età del ciclo vitale, diventeranno bachi di nove centimetri. Segue la metamorfosi durante la quale il baco si chiude in un bozzolo di fili di seta che arriva a 1500 metri. Dalla filatura si passa alla torcitura, alla tessitura, alla tintura utilizzando pigmenti del territorio: iperico, cipolla di Tropea, mora di gelso, robbia. “L’unità di misura per l’allevamento è il telaino”, spiega Domenico accanto a una spianata di bianchissimi bozzoli. “Ogni telaino contiene 2000 bachi che mangiano nei 30 giorni del ciclo vitale 500 chili di foglie”. Nel negozietto sono in vendita tessuti in seta con tinture naturali o stampa botanica, realizzati al telaio manuale o con tessitura meccanica. Ci sono seta vegana, lino di canapa, gioielli in seta e ceramica di Squillace, tisane al gelso, confetture di more di gelso. A San Floro, nel castello quattrocentesco, è allestito il Museo della Seta. Sotto le secolari volte troverete un centenario telaio a quattro licci, un incannatoio dei primi del ‘900, l’ottocentesco vestito da sposa di San Floro col corpetto ricamato di seta. Apparteneva alla bisnonna di Domenico. Al piano superiore, il Labirinto è l’installazione di Francesca Pasquali, giungla di liane realizzate con gli scarti delle aziende tessili calabresi. In una insolita esperienza tattile-sensoriale si cammina tra diversi tipi di tessuti, tra cui canapa e muschio della Sila.



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