Ravenna, Ca’ de Vèn, la sinfonia dei cappelletti


Testo e foto di Paolo Simoncelli

Già nel 1969, quando a Palazzo Spada c’era la drogheria Bellenghi, Mariagrazia Guidi immaginava il tempio della gastronomia romagnola, la Ca’ de Vèn, come una corte del buongusto, del buonumore, grande come una cattedrale, enormi saloni con mura di pietra del ‘400 e soffitti dalle volte dipinte, affollati di botti in fila come passeri, librerie, giornali, lampadari, l’enoteca. Appesa al muro c’è una sorta di Guernica rivisitata, il dipinto futurista di Mattia Battistini delle stesse dimensioni dell’opera picassiana, che starebbe bene al MOMA di New York. Artista ravennate dal talento straordinario, ha rappresentato una battaglia medievale tra cavalli e cavalieri, meno cruenta della guerra civile spagnola ma più allegorica. Mattia utilizza materiali di recupero, vecchi giornali, legni che vengono dal mare e poi butta dentro la sua visione del mondo. “Senti Pina”, disse Grazia alla cassiera della drogheria, “io qui ci farei un ristorante”.“Cosa dici..qui un ristorante?” Detto e fatto. L’idea, appoggiata dal Tribunato di Romagna, l’ente che tutela l’enogastronomia regionale, prese il volo e così nel ’75 il palazzo del Capitano di ventura Stefano Rasponi da Savarna divenne uno dei luoghi del cuore della città. “La Ca’ de Vèn”, dice Grazia,“ti da calore appena entri”. E infatti incontri subito l’azdora che lavora di mattarello per fare la piada, le tagliatelle, strozzapreti, garganelli. Piatti che verranno innaffiati da una ventata di vini romagnoli: albana, sangiovese, trebbiano, pagadebit, cagnina. “Uno qui, si sente a casa; l’ospite lo coccoliamo”. E la gente torna. Non vede l’ora di arrotolare la forchetta intorno alle tagliatelle al ragù, di addentare la piada allo squacquerone, il crescione alle erbe, il pollo al forno con patate sulla piastra calda, il “tagliere dell’aia”. Potreste anche incontrare il maestro Muti davanti ad una delle sue sinfonie preferite. Niente Schubert o Wagner. Un bel piatto di cappelletti.



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