Ad Ariccia, sotto un porticato, “schiacciato” da altisonanti luoghi della cultura, la locanda Martorelli frequentata nei secoli andati dai viaggiatori del Grand Tour, la Collegiata del Bernini e Palazzo Ghigi, s’annida il forno, meglio la “dolceria”, Cioli. Aperta da Ivana nel 1970, la minuscola bomboniera dove trionfano torte, crostate e biscotti, pare la casa di Nonna Papera. Se uno allerta le narici, sentirà uscire dalla porticina inebrianti profumi caserecci. S’annidano in vetrina le scure forme dei pangiallo a base di uvetta, mandorle, nocciole, arancio, limone, farina, zucchero e pochissimo cacao, all’interno invece, c’è l’assedio ipercalorico dei dolcetti dietro alle vetrate del bancone. L’elenco delle leccornie sfila senza fine: crostatine miele e cannella, crostata al pistacchio, alla ricotta e gocce di cioccolato, alle albicocche, alle visciole, savoiardi da inzuppo, bombolotti alla ricotta, alla pera e cioccolato oppure alla mela e cannella, ciambelle al vino bianco, ciambelline al vino rosso, biscottini mandorle e gocce di cioccolata, fiocchetti alla nutella, pasticciotti crema e amarena, tozzetti al miele o al cioccolato, nocciolini alla farina di nocciola, mostaccioli miele e farina. Poi c’è la pupazza, il biscotto di farina e miele a forma di procace fanciulla, alto 25-30 centimetri, con tre seni, due per il latte e uno per il vino, diffusissima nei Castelli, in particolare a Frascati. Racconta la leggenda che raffigurerebbe la mammana, la balia che un tempo badava i bambini mentre le mamme erano a vendemmiare: se al bimbo capriccioso il latte non bastava, lo tranquillizzava col vino che sgorgava dal terzo seno, finto naturalmente. Per qualche strano motivo, molti scambiano il forno Cioli per un bar. Rimangono di stucco quando, anziché sentire un fracasso di tazzine, si ritrovano di fronte a cotanto “dolciario paesaggio”. Ecco perché sulla vetrina campeggia in bella vista la scritta: “Questo non è un bar”.
Ariccia, il forno che non è un bar
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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