A Oria, nell’inquietante cripta delle mummie, ci sono ventiquattro nicchie e undici mummie. La particolarità è che non sono quel che resta di monaci o religiosi ma di uomini che scelsero la mummificazione per rendere eterna una dolorosa pagina di storia. Laici mummificati: unico caso al mondo. Era il 1481 quando, dopo aver giurato di fronte a re Francesco d’Aragona, un manipolo di nobili e cavalieri, la Colonia Fede o Morte, partì per liberare il Regno di Napoli dai turchi. Tornati a Oria, i confratelli sopravvissuti trasformarono la Colonia in Confraternita della Morte. La pratica della mummificazione iniziò subito dopo, negli anni ’20-‘30 del Cinquecento, fino a diventare una tradizione. Andò avanti fino al 1858. I corpi venivano sostituiti più o meno ogni 50 anni, una sorta di mummificazione selettiva. L’ultimo corpo mummificato appartiene a Michele Italiano. Per la cronaca l’editto napoleonico di Saint Cloud vietava mummificazioni e sepolture nelle chiese. Evidentemente a Oria dopo il 1804, la pratica continuò clandestinamente. Abbandonate le armi, oggi la Confraternita è indirizzata verso ben altri valori: opere di bene e spiritualità. In origine nella cripta c’erano 24 mummie. Oggi ne sono rimaste undici: quelle danneggiate dall’umidità sono state sepolte. Ci sono anche tre botole. Una è un ossario; le altre due immettono nella cripta soprastante dove si svolgeva la mummificazione. La visione dei miseri corpi lungo le pareti è macabra ma è nulla rispetto al racconto delle fasi operative. Il confratello veniva prima “prosciugato” estraendo la materia cerebrale dalle narici. Il passo successivo era l’eviscerazione e poi il riempimento con un mix di calce e sali disidratanti. Una volta ricucito il corpo veniva collocato in una vasca con le stesse sostanze. Rimaneva qui un paio d’anni e alla fine la mummia era pronta. Cosparsa d’unguenti e vestita di un saio, veniva appesa alla nicchia, col nome del confratello riportato sopra. Più in alto, su una mensola, “rallegrano” la scena 52 teschi di vecchissime mummie. Cinque o sei di questi potrebbero appartenere ai superstiti dell’antica battaglia.
Oria, i teschi e le mummie
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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