Carnevale Ovodda, la baldoria nel giorno del lutto


Testo e foto di Paolo Simoncelli

Un carnevale nel giorno della penitenza cristiana, il più dissacrante. Politica e religione alla berlina. Tutto è lecito a Ovodda il Mercoledì delle Ceneri, mehuris de lessia, il primo giorno di Quaresima. Le ore del lutto, del pentimento, trasformate in baldoria collettiva. È la rivincita del paese. “L’ultimo a essere stato cristianizzato”, dicono. Animali e uomini in promiscuità, vestiti nei modi più stravaganti. Ognuno perso nel proprio mondo. In sottofondo s’alza il ragliare degli asini mescolato a incalzanti musichette. Tutti danzano il su ballu tundu al ritmo della fisarmonica. Sventolano in questo giorno di follia, bandiere di libertà e anarchia, che poi è il disperato tentativo del paese di recuperare l’identità perduta. C’è chi agita campanacci vestito di velli scuri, gira col tosaerba, porta al guinzaglio caproni. I sos intintos, uomini e donne coinvolti in questa sorta di rito catartico, hanno i volti anneriti dal zinzivreddu, la polvere del sughero bruciato. Gli intinghidores invece “battezzano” il viso di chi incontrano. L’unica cosa che accomuna il carnevale di Ovodda al Mercedi delle Ceneri, sono le ceneri di Don Conte. Dopo un processo sommario, trascinato per il paese su un carro con le fiamme che lo divorano, l’orrendo fantoccio di stracci dall’anima in ferro e accentuati attributi sessuali, viene portato sul ciglio del ponte e gettato nell’abisso tra grida e canti osceni. Sembra di tornare al tempo dei riti propiziatori che assicuravano fertilità. Il fantoccio che rappresentava il male, il potere costituito, ha avuto la fine che meritava. Domani tornerà tutto tranquillo. Ovodda purificata riprenderà a vivere il proprio tempo. Dal fracasso dionisiaco alla quiete barbaricina.



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