Nocera Terinese, il cardo e la rosa


Testo e foto di Paolo Simoncelli

La mattina del Sabato Santo, a Nocera Terinese, va in scena il cruento atto di fede. I vattienti che fustigheranno le loro carni sono impegnati nel rito intimo e familiare della vestizione. Indossano maglietta nera, pantaloncini alla coscia e il mannile, l’antico copricapo sul quale viene collocata la corona di spine di sparacogna. In disparte ci sono gli strumenti penitenziali, due pezzi rotondi di sughero: la rosa, ben levigata e il cardo, sulla cui superficie di cera d’api sono infisse le lanze, 13 scaglie di vetro. Lunghe tre millimetri, una al centro, quattro esterne, otto a formare un cerchio, rappresentano Gesù Cristo e i 12 Apostoli. Appoggiata a un muro, giace la croce di legno rivestita da un nastro rosso, lo strumento dell’ecce omo, la personificazione di Gesù. L’acciomu è di solito un bimbetto che mostra il torace scoperto, la spina santa in testa e un drappo rosso fino alle caviglie. La cordicella nera, il segno del lutto invece, è il cordone ombelicale che lo lega al vattiente. Subito dopo, mentre sfila la processione con la statua dell’Addolorata e del Figlio morente trasportata dai confratelli in tunica bianca, i due escono in strada. Il vattiente corre, sale e scende le ripide strade. Va dove vuole, si batte quando e come crede, libero di vivere la propria devozione. All’improvviso si ferma, spesso col volto rigato di lacrime, per mortificarsi. Colpisce con la “rosa” cosce e polpacci per favorire l’afflusso di sangue. Quando i capillari sono arrossati, sferra colpi col cardo procurandosi copiose emorragie. Il sangue sgorga e la rosa lo raccoglie per lasciare il “marchio di sangue” sul sagrato delle chiese, davanti alle edicole votive, sulle mura di case e botteghe. Momento troppo intimo per formulare la più stupida delle domanda: “Perché ti batti?” Nessun nocerese lo chiederebbe mai. Intanto altri personaggi con piccole taniche versano vino sulle ferite. Disinfetta, impedisce la formazione di coaguli che bloccherebbe il sanguinamento. Il momento più importante arriva quando il vattiente versa il proprio sangue davanti all’Addolorata. Lo farà solo una volta. È così, ogni anno, da almeno 500 anni, che espia i peccati. Alla fine bolle nei pentoloni acqua e rosmarino. Grazie alle proprietà coagulanti del tannino servirà a tamponare le ferite.



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