Tra fine giugno e i primi di luglio, a Monterenzio, il letto dell’Idice è rinsecchito. Rare chiazze d’acqua luccicano tra pareti d’arenaria. Una famigliola di Celti, babbo, mamma e due marmocchi, a piedi nudi, vestiti di pelli, rimescolano coi bastoni i rigagnoli in cerca di pesce. Proprio accanto al torrente, brulica l’accampamento del fiero, antico popolo. L’aria vibra di attesa. Tra poco avrà luogo la battaglia campale contro i romani. Ieri invece si è tenuto un matrimonio celebrato da un druido vestito di bianco e da alcune sacerdotesse. Intanto, tra una tenda e l’altra, i guerrieri celti, altissimi, astuti, spacconi, muscoli guizzanti sotto la pelle, armeggiano con le lame. Affilano spade e coltelli. Hanno chiome bionde schiarite con frequenti lavaggi d’acqua e gesso, pettinate all’indietro per mostrare le orgogliose fronti, viso rasato, senza barba, oppure spessi e lunghi baffi. E parlano con voce tonante per intimorire il nemico. Mab Carous, “figli del cervo”, gridano in gaelico prima della battaglia. Nertos Borrach, “forza e coraggio” risponde in coro la tribù. Scudi e vessilli ondeggiano. Durante la perfetta rievocazione del mondo celtico, sembra di tornare al tempo di William Wallace, l’eroe scozzese che guidò i guerrieri dai volti pitturati, i picti, forse loro stessi Celti, contro l’occupazione della Scozia. Sono i giorni dei Fuochi di Taranis, il dio dei tuoni e dei fulmini. Vanno in scena rievocazioni storiche, battaglie, duelli all’arma bianca, musiche, danze, remoti rituali, visite guidate all’accampamento e alle emergenze archeologiche del territorio, dal Museo Fantini all’insediamento di Monte Bibele, risalente al IV sec. a.C. Nessun altro sito etrusco-celtico può vantare la coesistenza di area sacra, nucleo abitativo e necropoli. Impreziosita da eventi didattici, fedeli scenografie e conferenze, l’edizione 2024 è stata dedicata alla figura femminile nella cultura celtica: sacerdotesse, donne guerriere e umili “massaie”.
Monterenzio celtica, I Figli del Cervo
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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