Festival Internazionale Aquiloni. I messaggeri di pace


Testo e foto di Paolo Simoncelli

Ogni anno a fine aprile, dal 1981, durante il Festival Internazionale degli Aquiloni, il cielo di Pinarella di Cervia si riempie di colori. Sono i giorni in cui decine di migliaia di persone si mettono a naso all’insù per seguire le evoluzioni di silenziose, eteree “macchine volanti”. L’aria è piena di sibili, di impercettibili fruscii, il cielo di poesia. I mirabolanti aquiloni d’ogni forma e dimensione, di carta o assemblati con tela da spinnaker e fili di kewlar, provengono dai cinque continenti. Intrecciano delicate danze aeree o “combattono” tra le nuvole a colpi di filo. Chi verrà al festival avrà una ricompensa straordinaria: incontrerà rilassatissimi personaggi da ogni angolo del mondo. Gli aquiloni non hanno solo valenza ludica. Rilassano, danno speranza, buonumore. Insegnano la pace e la sostenibilità: il treno ha i suoi binari, gli aquiloni un filo e mille rotte. In alcuni Paesi hanno addirittura importanza rituale. “In Giappone”, spiega Claudio Cappelli, il padre del festival, “è usanza far volare un aquilone di notte intorno alla casa del neonato e poi tagliare i fili all’alba, così il vento porti via gli spiriti maligni”. In Thailandia servono ad esorcizzare le inondazioni e per questo se ne fanno volare due contro le nuvole, il maschio, Chula, a forma di stella, e la femmina Papkao, a forma di diamante. In Guatemala sono messaggeri divini. Servono a comunicare coi defunti e si fanno volare sui cimiteri. Sono tantissimi i poeti del cielo che negli anni hanno impreziosito il raduno di Cervia. Peter Lynn, l’ingegnere neozelandese ideatore del Megabyte, lungo 55 metri e pesante 150 kg, il più grande aquilone del mondo, il giapponese Makoto Ohjie, paladino di una scuola di tradizione millenaria, il compianto canadese Ray Bethell, campione del mondo di volo multiplo. Resta un mistero come Ray, sordo a causa di un virus, fosse in grado di pilotare, a ritmo di musica, tre aquiloni acrobatici in perfetta sincronia. La speranza è che nei giorni del Festival la scala anemometrica di Beaufort segni sempre grado sei, tenendo lontano il Libeccio, vento poco adatto al volo. Gli aquiloni resterebbero incollati alla spiaggia, perdendo tutti i loro poteri. Diventerebbero grandi uccelli senza più ali, in sintonia con l’haiku (ode) del poeta giapponese Kubenta. “Una volta toccata terra, lo spirito dell’aquilone, senza indugi, si allontana”.



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