Non lontano dagli umori del Grande Fiume, tanto che se uno allerta l’orecchio sente l’acqua scivolar via, in un piccolo caseificio artigianale, la famiglia Palormi, Ennio, il fratello Gianfranco e l’indiano Gorav, sforna da vent’anni un formaggio che si trova solo qui, l’originalissimo cacio del Po. Roba da intenditori, da annusare a lungo come si fa col fiuto del tabacco. Se ne fanno più o meno mille forme all’anno.I cinici dati tecnici dicono che si tratta di un formaggio a pasta semicotta color avorio, forma cilindrica, consistenza morbida-elastica, crosta liscia giallo paglierino, larghezza 25-30 centimetri, in pratica un enorme disco da hockey su ghiaccio pesante 8-10 chili. Quando si assaggia, dal cinismo si passa alla poesia perché subito tracima nel palato l’inconfondibile gusto dolciastro del latte, al quale si sposa un delicato retrogusto amarognolo. Quando c’è tempo, cioè raramente, la premiata ditta organizza anche visite guidate. Potreste per esempio imparare che i buchetti della pasta si chiamano occhiatura e che quest’ultima, oltre che dal tipo di fermentazione del latte crudo, dipende dal microclima della stagionatura: freddo, occhiatura piccola, caldo, buchetti più larghi. Gusto e aroma naturalmente non cambiano. In genere la temperatura è mantenuta costante, intorno ai 14-15. “Il magazzino della stagionatura dove le forme maturano dai due ai quattro mesi”, dice Ennio, “verrà presto ampliato fino ad ospitare l’intera produzione, circa 15 mila forme”. Il latte arriva dalle aziende agricole del territorio di Monticelli d’Ongina, piccoli brulicanti “satelliti pieni di mansuete mucche.
Monticelli d’Ongina, il cacio del Grande Fiume
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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