Bisogna lasciare il paese di Marettimo e salire un sentierino. Roba da poco. Sarete subito davanti a un centenario carrubo. Oggi è un po’più piccolo, collassato ai piedi di un gigantesco pino d’Aleppo. Il moncone scampato sta però ricrescendo più rigoglioso di prima. È da questa nobile pianta che il ristorante di Vito Vaccaro ha preso il nome. Le portate si gustano da maggio a settembre sull’ampia veranda, in un verde giardino. “Qui”, spiega Vito, “c’era il vecchio frutteto dei miei nonni. Sto cercando di rimetterlo in piedi”. Tante le specialità della premiata ditta, se per ditta si intendono due soli arruolati: Nadia, moglie di Vito, che spiattella in cucina da 25 anni e la figlia Sara. Si tratta di squisiti piatti territoriali, quasi tutti a base di pesce freschissimo. Nadia non aveva alcuna esperienza nella ristorazione. Ha iniziato rubando alla mamma e alla nonna i segreti della cucina tradizionale, proprio qui a Marettimo: linguine cozze e vongole, zuppa di pesce, polpo grigliato oppure fritto, cous-cous, pasta alle vongole, crudo di ricciola alla mediterranea, pesce spada grigliato, tonno in tutte le salse, grigliato, alla piastra o polpette, busiate alle sarde e busiate al carrubo, il piatto della casa, una pasta fresca trapanese con pesce spada, pesto e gamberetti. Chiudono il pasto le cassatelle trapanesi, dolci fritti di ricotta. Non c’è nemmeno il rischio di trovare il piatto vuoto: qui intorno il mare dalle mille sfumature blu abbonda di scorfano rosso e pesce azzurro. La scenografia del Carrubo è naturalmente delle più ammalianti: davanti le onde, alle spalle montagne che sembrano le Dolomiti. Tra un piatto e l’altro innaffiati dai vini bianchi trapanesi, dovreste considerare quanto siete stati fortunati a capitare in quest’angolo di mondo. La speranza è che soffi lo scirocco. Il porto dell’isola è infatti esposto ai venti del sud e così potrete vivere l’ebbrezza di rimanere bloccati a Marettimo. Per due giorni, tre, chissà quanto…. Purtroppo d’estate è un evento piuttosto raro.
Il Carrubo tra le onde e le Dolomiti
Testo e foto di Paolo Simoncelli
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